INTRODUZIONE 
       
      I. «Nulla insegna quanto il tradurre» 
       
      Verso il principio dell'anno '76, trovandomi già da sei e più 
      mesi ingolfato negli studi italiani, mi nacque una onesta e cocente vergogna 
      di non più intendere quasi affatto il latino; a segno che, trovando 
      qua e là, come accade, delle citazioni, anco le più brevi 
      e comuni, mi trovava costretto di saltarle a piè pari, per non perder 
      tempo a diciferarle. Trovandomi inoltre inibita ogni lettura francese, ridotto 
      al solo italiano, io mi vedeva affatto privo d'ogni soccorso per la lettura 
      teatrale. Questa ragione, aggiuntasi al rossore, mi sforzò ad intraprendere 
      questa seconda fatica, per poter leggere le tragedie di Seneca, [...] e 
      [...] le traduzioni letterali latine dei tragici greci [...]. Mi presi dunque 
      pazientemente un ottimo pedagogo, il quale, postomi Fedro in mano con molta 
      sorpresa sua e rossore mio, vide e mi disse che non l'intendeva [...]. Ma 
      il valente pedagogo, avuto ch'egli ebbe così ad un tempo stesso il 
      non dubbio saggio e della mia asinità, e della mia tenacissima risoluzione, 
      m'incoraggì molto, e in vece di lasciarmi il Fedro mi diede l'Orazio, 
      dicendomi: «Dal difficile si viene al facile; così sarà 
      cosa più degna di lei». 
       
      Così Alfieri, ventisettenne, affronta, con la determinazione che 
      gli è propria, la necessità di dovere del tutto rifondare 
      la sua conoscenza del latino. Il cimento con l'Orazio delle Odi, 
      impostogli dall'insegnante, si rivela adatto a stimolare lo scrittore, così 
      «rimesso in grammatica senza [...] uscire di poesia», 
      e ad avviare l'inesausto esercizio del tradurre che, di qui in poi l'accompagnerà 
      per tutta la vita. 
      Già pochi mesi dopo, in primavera, a Pisa, agli si misura con altre 
      prove: la traduzione in prosa della Poetica di Orazio «per 
      inversarsi que' suoi veridici e ingegnosi precetti», la lettura 
      delle tragedie di Seneca - constatando quanto esse fossero «il contrario» 
      degli insegnamenti oraziani -, e di altri scrittori «ad oncia a oncia», 
      tra i quali, e soprattutto, Sallustio. L'autore della Catilinaria 
      e della Giugurtina è quindi il primo dei grandi è 
      quindi il primo dei grandi storici latini ad attrarre Alfieri ed è 
      anche quello destinato a occupare un posto preminente su tutti gli altri. 
      Le successive letture di Livio e di Tacito, che pure gli porgeranno spunti 
      e materiali per il trattato Della Tirannide e la Virginia, 
      non stimoleranno l'Alfieri traduttore a intraprendere un'impresa paragonabile 
      a quella del suo Sallustio, fatto oggetto di un vincolo diuturno quanto 
      tormentato. 
      [..]  | 
     INDICE 
       
      PRESENTAZIONE 
      INTRODUZIONE 
      NOTA AI TESTI 
       
      LA GUERRA DI CATILINA 
      SECONDO IL MANOSCRITTO LAURENZIANO 
       
      LA GUERRA DI CATILINA 
      SECONDO IL MANOSCRITTO LAURENZIANO 
       
      BELLUM CATILINARIUM 
      SECONDO IL MANOSCRITTO LAURENZIANO 
       
      LA GUERRA DI GIUGURTA 
      SECONDO IL MANOSCRITTO LAURENZIANO 
       
      LA GUERRA DI GIUGURTA 
      SECONDO IL MANOSCRITTO LAURENZIANO 
       
      BELLUM IUGURTHINUM 
      SECONDO IL MANOSCRITTO LAURENZIANO | 
      
    
           
            
            
           
        
           
             
               Vittorio Alfieri  
 
 SALLUSTIO volume I - traduzioni  
 
editore CASA D'ALFIERI  
edizione 2005  
pagine 1344  
formato 18x25  
 2 volumi in cofanetto; brossura con sovracoperta  
tempo medio evasione ordine  a richiesta  
 
60.00 €  
 60.00 €  
 
ISBN :   
EAN  :   
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