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PIEMONTE 1930 - 1970
Le immagini di Moncalvo raccontano, in cento affascinanti scatti in bianco e nero e a colori, quarant'anni di un Piemonte che sta lentamente passando dall'agricoltura all'industria, dai campi e dai pascoli cari a Nino Costa, ad una modernità in divenire. Le sue riprese si soffermano con la stessa emozione sul mondo che declina e su quello che si affaccia all'orizzonte ed è nell'interpretazione di questa transizione che Moncalvo rivela la sua maestria. Le sue immagini esaltano la qualità più autentica della fotografia, quella di «trattenere» la storia e celebrano l'aristocrazia della terra e del lavoro. A TESTA ALTA

Occorre guardare in alto per seguire la geometria dei vigneti, per vedere i filari che si arroccano sui dossi delle Langhe, del Monferrato e anche per ammirare le piramidi del Monviso e del Rocciamelone, così nette e attraenti nella prospettiva dell'orizzonte da rappresentare simbolicamente la nostra regione. Di fatto il Piemonte è una regione in salita. Solo un quarto della sua superficie è pianura e quindi priva di quel gradevole invito a salire che per molti piemontesi è la condizione per sentirsi a casa, per avvertire il richiamo della propria terra. Viene da chiedersi: sarà il territorio in continua altalena fra colline e montagne, a fare dei piemontesi gente che tiene la testa eretta? In ogni caso è guardando in alto che i piemontesi hanno incluso l'Italia nel loro orizzonte, così come è osservando il mondo dall'alto che hanno imparato a non sopravalutare i risultati raggiunti, a non perdere di vista la realtà. Su queste basi il Piemonte è forse l'unica nazione nella storia delle genti che accetta di diventare provincia per aver vinto la guerra (Firpo). Un ridimensionamento che, in ogni caso, non è rinuncia, ma razionale valutazione dei fatti, buon senso intriso di relativismo. Quelle stesse sagge considerazioni dei padri che Nino Costa mette in poesia:
Guarda, lagiù, lontan fin ch'a se s-ciaira
l'òm e 'l sò mond son mach pì grand na branca
.

Parole che trovano un eco sapienziale in quell' esageroma nen che, ricorrendo in modo assolutamente trasversale sulle labbra dei piemontesi, ne rivela le qualità nascoste. Ma i versi di Nino Costa ricorrono fra queste pagine almeno per tre buone ragioni: il dovuto omaggio al poeta nel sessantacinquesimo della morte; ricordare il suono aspro e sonoro del dialetto ai tanti che in Piemonte hanno trovato casa; infine, come utile viatico nel viaggio fra le fotografie di Riccardo Moncalvo. Prezioso controcanto quello del poeta, perché seppure i suoi tempi coincidono solo in parte con quelli del fotografo, le radici affondano nello stesso humus e su questa risorsa celebrano la misura civile del vecchio Piemonte, territorio di uomini solidi e laboriosi.
Nella vita di Riccardo Moncalvo adolescenza e fotografia vanno a braccetto. Nel laboratorio del padre, Atelier diFotografia Artistica edIndustriale impara i primi rudimenti, a quindici anni (1930) usa la fotocamera da esperto e a diciotto vince la sua prima medaglia alla XXI Esposizione d'Arte Fotografica della Società Fotografica Subalpina. Ha le idee chiare, ma la sua crescita coincide con gli anni in cui la retorica sta perdendo il senso della misura e straripa, fra impero e romanità, con il fastidio di quei bogianen che sanno ancora distinguere la vanagloria dei fracassoni dai fermi ideali dei padri. Procedendo negli « anni del consenso » le sue riprese registrano qualche balilla trombettiere, pressoché inevitabile, all'epoca, per un professionista dell'immagine fotografica. Erano tempi di « adunate oceaniche» e di sfilate in divisa per i viali cittadini, sotto lo sguardo ironico di chi tratteneva per sé il sorgere spontaneo del rituale esageroma nen. In questo contesto il giovane Riccardo, accetta l'inevitabile e coglie l'eleganza dei saggi ginnici senza lasciarsi coinvolgere in esaltazioni all'Achille Bologna; per ricordare uno dei Tre B che, in quegli anni, signoreggiano sulla fotografia torinese. In una città percorsa dai fermenti dell'arte fotografica i Tre B, come vengono sbrigativamente indicati: Carlo Baravalle, Achille Bologna e Stefano Bricarelli, occupano un posto di rilievo, non solo per la qualità delle loro fotografie, ma perché hanno nelle loro mani la direzione di un mensile importante, Il Corriere Fotografico e di un prestigioso annuario della fotografia artistica italiana, Luci e ombre. Pubblicazioni che propugnano una modernità a largo spettro, spaziando dai tardi conati del pittorialismo, alle riprese che inseguono l'essenzialità geometrica dei costruttivisti, ricotti in salsa nostrana. In ogni caso la giovinezza di Moncalvo non entra in scena disarmata, l'esperienza del padre lo colloca in una posizione di privilegio e gli permette di affrontare esperimenti in campi diversi rimanendo immune da facili innamoramenti. Sin dalle sorprendentemente mature riprese di diciassettenne, la vita e il lavoro, nella sua generalità, sono gli argomenti più ricorrenti, quelli che lasceranno il segno più profondo nella sua opera fotografica.
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Riccardo Moncalvo

PIEMONTE 1930 - 1970

editore PRIULI & VERLUCCA
edizione 2011
pagine 128
formato 21,5x28
cartonato con sovracoperta
tempo medio evasione ordine
ESAURITO

19.90 €
19.90 €

ISBN : 978-88-8068-492-3
EAN : 9788880684923

 
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