motore di ricerca
Diventa Fan su Facebook
cataloghi novità - Piemonte - Monferrato - Asticataloghi editorischede autorinotizie2022 Promozioni
Alcune proposte
COLLA STESSA MANO CHE SON FERITO...
La parola scritta dalle classi subalterne
in Piemonte tra inizio e metà Novecento

Scrivere da soldato con la mano ferita o da emigrante in lingua italiana senza mai averla studiata a scuola. Da ragazza che fa il filo ai compaesani sotto naja o da innamorata per fare entrare nel proprio sogno d’amore la persona che a quel sogno sembra estranea. Da mezzadro per scongiurare un San Martino punitivo che sbatte in mezzo alla strada la famiglia numerosa o da fratelli che devono dividersi case e terreni e non si fidano uno dell’altro. Da donna infelice per protesta contro il matrimonio sbagliato che rende la vita una galera o per rabbia di fronte a un esercito invasore che crede di comandare a casa d’altri.
Scrivere al medico condotto del paese che gena la povera gente o al sindaco raccontando di aver fatto fortuna nella Merica lontana. Scrivere stando in città col rimpianto della campagna o dal proprio cascinale lamentando che la siccità distrugge il raccolto e che bisogna andare via «dalle terre schifose».
Modi diversi di scrivere facendo economia di parole, per stare aggrappati alla vita e non cadere nel silenzio alimentato dalla solitudine e dal distacco. Il nuovo libro di Donato Bosca riporta d’attualità la scrittura obligata di chi a scrivere non era costumato, spiegando in modo avvincente come «la filossera delle parole» nelle Langhe di fenogliana memoria sia stata per l’autore una spinta potente alla fuga dal proprio mondo e, dopo il ritorno al proprio paese da «studiato», un percorso di riscoperta dell’appartenenza alla cultura «nascosta» dei propri antenati contadini.


INTRODUZIONE

C'è come un urlo trattenuto, silente, nella frase che Giacomo Barisone scrive alla moglie Catterina Rapalino dall'ospedaletto da campo dove l'hanno soccorso ferito da un colpo di granata.
Ospedale da campo 97, squadrone sette, batteria 57, zona di guerra, c'è scritto sulla cartolina postale. P il 23 ottobre 1915 e Giacomo vuole informare la moglie di quanto gli è accaduto senza spaventarla. Trattiene il fiato, forse anche le lacrime e prova a scrivere di suo pugno. Usa la mano ferita e manifesta con l'espressione Colla stessa mano che mi son ferito la grande forza d'animo che solo i contadini soldato possiedono. Le mani abituate alla fatica compiono il gesto straordinario di tenere ferma una cartolina postale e di piegarla all'esigenza di dare una brutta notizia senza allarmare chi la riceverà. La storia di Giacomo è una delle tante storie ritrovate indagando i percorsi della scrittura obligata e incerta, la scrittura che tratteneva le parole e ne faceva economia.
Guidati dall'evoluzione tecnologica degli ultimi cinquant'anni, stiamo perdendo il fascino della scrittura e della manualità del segno, e con questo il filo diretto col cuore e i sentimenti.
Telefoni cellulari, computer, macchine fotografiche digitali, l'hardware sempre più sofisticato con memoria espandibile, ma soprattutto internet con i programmi di video chat, messenger, la posta elettronica, il blog hanno svilito la traccia di incerte scritture evanescenti come ectoplasmi, graffiate da pennini carichi d'inchiostro e corrosi dal tempo. Le quattro cartoline postali scritte da Giacomo Barisone prima della morte alla moglie lontana e conservate dai suoi eredi sembrano quadri naif costruiti su carta porosa dove umidità e tempo hanno aggiunto con instabili arabeschi preziosità e suggestione. Quando vengo in contatto con questi documenti con la lente di ingrandimento cerco di interpretare i messaggi sbiaditi che contengono e ho come l'impressione che i segni che analizzo conservino il suono della parola e gli stati d'animo di chi li ha tracciati: dimenticati nel cassetto o volutamente conservati per non recidere il legame col passato, sono diventati messaggi e tracce di vite a me sconosciute: gioia, dolore, nascite, morti, affari, tradimenti, liti, minacce, paure. Frammenti, nient'altro che frammenti da stendere al sole come abiti bagnati di pioggia, essenziali per ricostruire una storia che si sottrae e si nasconde.
La voce umana dei nostri giorni non ha questa potenza. Dispersa su un cavo o addomesticata da una tastiera, mediata da un microfono, videoregistrata ed esaltata dalle immagini è sempre eccessiva, ridondante, come se volesse consumare tutte le sue potenzialità nell'atto stesso della comunicazione.
La fredda logica geometrica dei caratteri del computer, per una scrittura che si autocorregge, perfetta, ma asettica, non può suscitare le emozioni che si provano davanti a uno scritto sgrammaticato e difficile da decifrare. Sono queste le prime sensazioni che provo ogni volta che vengo a contatto con lettere, cartoline e fogli sparsi scritti dai nostri antenati. Sensazioni che creano turbamento e che trasmettono l'eco di un mondo che oggi appare irreale e a cui pochi presterebbero attenzione se non fosse documentato.
[..]

INDICE

Introduzione
Avvertenza

L’uso tener scritture…
Sortire dalla miseria…

Album

Sprovvisti di santità…
Una malattia attaccaticcia
Felicissima di saperti piemontese
Per tutta la vita galera…
Colla stessa mano che son ferito…
Parte prima
Parte seconda
Servire Dio e la Patria…
Ho paura che questi tedeschi comandino loro…
E sciao… i ricordi di una centenaria

Per concludere…





Donato Bosca

COLLA STESSA MANO CHE SON FERITO?

editore PRIULI & VERLUCCA
edizione 2009
pagine 208
formato 17,5x25
cartonato con sovracoperta plastificata a colori
tempo medio evasione ordine
ESAURITO

19.50 €
19.50 €

ISBN : 978-88-8068-429-9
EAN : 9788880684299

 
©1999-2024 Tutti i diritti riservati
Via Brofferio, 80 14100 Asti - Piemonte - ITALY
Cell +39 3490876581
Spedizioni corriere espresso in Italia e in tutto il mondo
Riceviamo in sede su appuntamento
P.IVA 01172300053 - Cod.Fisc. BSSVCN50C23B425R - REA AT-93224
ebussi50@gmail.com