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LE TERRE DEL BARONE
Cronaca rurale d'epoca napoleonica
I marsaschi che tornano ad arbitare dopo la tempesta devono aver rappresentato, almeno inizialmente, un bel rompicapo per la curatrice del presente libro Monica Parola; la definizione con un unico termine dei vari prodotti che si seminavano nel mese di marzo è per me affascinante e comunque chiaro indice della sinteticità che permeava il mondo contadino e di cui si ha chiara dimostrazione nel documento scritto. I meno giovani tra noi che hanno vissuto l'infanzia in una casa contadina hanno sicuramente vividi ricordi di situazioni che hanno dato vita anche a molti luoghi comuni ma ricordano anche i lunghi silenzi che avvolgevano ore ed ore della giornata. I fatti normali della vita erano oggetto di commenti talvolta gioiosi, spesso tristi e sconfortati che però si risolvevano in poche battute quasi sempre ripetitive. Brevi e sintetiche erano anche le discussioni tra compaesani su argomenti soliti quali le condizioni atmosferiche, la salute, il prezzo dei prodotti da vendere e da comprare. Solo eventi eccezionali davano occasione per soste più prolungate e più ricche di considerazioni: il cambio del parroco o del maestro di scuola, il ritorno di un soldato o di un emigrante, eventi bellici vicini, un suicidio. Una volta durante la vendemmia si cantava ed i cori rimbalzavano di collina in collina quasi a gara tra di loro: si cantava anche perché gli argomenti di discussione e di confronto erano assai limitati; ora non si canta più ma, a parte i ritmi di vita differenti, anche perché si usa molto di più la parola. Anche nelle bettole si intonavano canti oggi inusuali; oggi nei bar di città come di paese si parla e si discute. Il contadino di un tempo parlava per perifrasi (incontrando un conoscente chiedeva: "Come sta quella donna?" ove per donna si intendeva la moglie ed è un modo di dire gentile e riservato) oppure per detti che si tramandavano da generazioni, magari solo in ambito familiare: "La vite rotonda è una vagabonda" ove per vite rotonda si intendeva una pianta, non ne conosco il motivo, che produceva grappoli piccoli con acini radi e tondi. La ricerca di documenti scritti della cultura autenticamente popolare contadina, prima dell'inquinamento di radio e televisione, non credo possa dare grandi frutti. Erano quasi sempre quelli che avevano studiato che traducevano, a modo loro, nelle loro scritture, il pensiero del contadino normalmente illetterato. Ricordo di aver letto il testamento di mio nonno paterno, purtroppo smarrito, redatto durante la guerra del '15 - '18; ad un certo punto si diceva che lasciava alla moglie le rose e i frutti; con fatica riuscii a risalire alla parola usufrutto che aveva tentato di tradurre dal piemontese in italiano e capii anche che lo scritto non era stato stilato di suo pugno. Ed è proprio per i motivi cui ho fatto cenno che il ritrovamento di un autentico documento scritto di cultura popolare contadina rappresenta un fatto eccezionale e prezioso, peraltro godibilissimo e che ho letto tutto di un fiato. Il popolano Grosso che ben rappresenta la mentalità di un ceto sociale e di un'epoca in trentadue pagine di un quadenetto ha sintetizzato gli avvenimenti per lui più importanti di quindici anni della sua vita; chissà quale fatica gli è costata e anche per questo gliene siamo grati.

GIANCARLO MASCHIO
Presidente Fondazione
CASSA DI RISPARMIO DI ASTI

INDICE

Prefazione Fondazione Cassa di Risparmio di Asti
Prefazione Associazione 4 passi a Nord-Ovest

Cultura popolare tra Settecento e Ottocento: una cronaca redatta in una comunità rurale dell'Astigiano
INTRODUZIONE

manoscritto di Mombarone, copia dell'originale quaderno di 32 pagine rilegato con filo di canapa

TABELLA N.1
Condizioni metereologiche dal 1789 al 1799 nella cronaca di Mombarone e nella cronaca dell'abate Incisa

TABELLA N.2
Lire per emina del frumento e del mais secondo le medie dei prezzi indicati nella cronaca di Mombarone e nelle mercuriali di Asti e di Torino dal 1793 al 1804

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